In media, nel mondo, il 30% del pescato viene rigettato in mare perché danneggiato o di scarso valore e interesse commerciale.

Questa percentuale, chiamata “bycatch” in linguaggio tecnico (letteralmente “catture accidentali”), varia molto a seconda delle tecniche di pesca. Si va dallo 0% della canna da pesca all’ 80-90% della pesca a strascico di gamberi tropicali. Una qualsiasi altra filiera produttiva sarebbe fallimentare se avesse queste percentuali di scarto. Perché allora in mare funziona diversamente e cosa si può fare per contrastare il fenomeno?

Il pesce scartato è stato catturato perché lo strumento di pesca non è abbastanza selettivo da pescare solo i pesci bersaglio ed evitare di catturare quelli indesiderati.

Il pesce rigettato in mare non sopravvive, spesso è già morto o gravemente ferito al momento dello scarico, e inoltre non fornisce un pasto desiderato per i predatori, che prediligono cacciare pesce vivo, per lo più sdegnano quello già morto, in quanto potenzialmente tossico (fatta eccezione per i consumatori di carogne).
La tecnologia ha avuto una grande evoluzione in molti settori industriali e commerciali, con benefici anche per l’ambiente, ma sembra che in merito al bycatch non ci sia la necessaria richiesta di innovazione per render la pesca meno “sprecona”.
La risposta alla domanda del perché questo non avvenga è da ritrovare in un fatto:

nessuno paga i danni causati da un prelievo grossolano e distruttivo.

Pertanto, introdurre la tecnologia adatta o impiegare la manodopera necessaria per una pesca selettiva non ha un rapporto costo-beneficio conveniente per molti pescatori, non lo è per le piccole cooperative, a maggior ragione per la pesca industriale, che continua irrazionalmente a distruggere gli oceani e i mari di tutto il mondo.
La minaccia di estinzione di molte specie e la desertificazione (si, anche il mare può diventare una distesa di acqua senza vita) non sembrano essere ragioni sufficientemente valide a contrastare l’ansia di sopravvivenza della piccola pesca (anche se ci sono splendide eccezioni di buona e etica pesca artigianale), né tantomeno i grandi numeri della pesca industriale.

Però tu, in quanto consumatore, puoi fare la differenza e compiere azioni virtuose, a partire dalla scelta di pescato con strumenti di pesca selettivi, come la canna da pesca, i palangari di fondo, le nasse, la rete a circuizione.

Questi prodotti costano un po’ di più, ma è nella differenza di prezzo  che si ripaga la manodopera (o la tecnologia) che assicurano essere state prese le necessarie precauzioni per evitare danni ambientali.
La Guida al pesce giusto (che puoi anche scaricare e portare con te) ti consente di conoscere se uno strumento di pesca sia più o meno dannoso.
Nel dicembre 2014 è entrata in vigore una legge che impone che tutte le etichette di pesce fresco al banco debbano indicare lo strumento di pesca utilizzato per catturarlo. Qualora non fosse scritto chiaramente o non ti sia chiaro, chiedi più informazioni al pescivendolo.