Overfishing è il termine inglese che si usa per definire la pesca eccessiva o sovrappesca, ma forse con un’immagine più evocativa si potrebbe parlare di all you can eat.

Overfishing significa che la popolazione marina non riesce a riprodursi abbastanza rapidamente rispetto alla quantità di pesce che viene pescato.

L’elevata e squilibrata richiesta di pesce da parte del consumatore combinata con l’inadeguatezza di alcuni sistemi di pesca, che vanno ad uccidere tante specie senza poi metterle in commercio (vedi bycatch / catture accidentali) genera effetti devastanti sulle popolazioni di numerose specie.
Qualche numero, curioso, per rendere meglio l’entità del problema:
  • al giorno d’oggi ci sono così tanti pescherecci in attività che potrebbero pescare 2,5 volte il pesce che esiste in mare
  • ogni anno si stendono nel mondo così tanti chilometri di lenze (palangari) che potrebbero circondare il pianeta Terra per 550 volte… una sorta di gomitolo orbitante
  • esistono reti da pesca così grandi che possono contenere fino a 14 Boeing 747 al loro interno
Se si volesse descrivere, generalizzando, l’approccio che il pescatore ha con il pesce, questo appare come una lotta, o meglio una caccia spietata, che l’uomo sta stravincendo grazie alla grande innovazione tecnologica introdotta per ridurre i rischi del mare e aumentare l’efficienza nella pesca. Sembra che l’uomo, in questo caso l’industria della pesca, stia vivendo una sorta di frenesia alimentare: una “trance” che coglie certi predatori durante la caccia, che li costringe a uccidere anche animali di cui non si nutriranno, senza fermarsi e senza uno scopo reale.
Anche nel consumatore appaiono segni di questa frenesia, pensiamo alla formula “all you can eat” di molte proposte sushi, di bassa o bassissima qualità.

La responsabilità quindi sta nelle azioni indiscriminate portate avanti dalle aziende di pesca industriale o è a carico del consumatore e delle proprie scelte?

Qualunque sia la risposta a subirne le conseguenze per primi sono i grandi pesci, perché più convenienti dal punto di vista commerciale (più facili da pulire e venduti  in tranci). Ma sono anche i più longevi, lenti nel riprodursi e meno numerosi: lʼinsieme di questi fattori li espone più degli altri al rischio di estinzione.
La causa va imputata ad entrambe le parti: all’industria della pesca che fa razzia indiscriminata dei mari di tutto il mondo, ma anche al consumatore, che non tiene in conto di poter influenzare il mercato, riducendo la domanda di pesce, o spostandola verso specie le cui popolazioni sono meno a rischio di esaurimento.

Il risultato è che, esauriti i pesci grandi, si passa a quelli più piccoli.

Con questi ritmi di consumo le previsioni dell’illustre biologo marino Boris Worm (Dalhousie University, Canada) stimano che entro il 2048 sarà esaurita lʼintera catena alimentare, con una probabile deriva su plancton e meduse (non è un caso che  alcune aziende abbiano già trovato il modo di rendere appetibili anche queste ultime).